Le regole del caos!

Dal Corriere della Sera:


Se in casa tutto, dall'armadio alla scrivania, dal divano al tavolo della cucina, è fuori posto, in una disposizione troppo stravagante, non c'è dubbio: siamo in casa di una persona disordinata. Ma si nasce disordinati o lo si diventa? Per la psicologia lo si diventa, a seguito di precise motivazioni, che il più delle volte dimorano nell'inconscio, quella parte segreta di noi che presiede agli istinti e governa il nostro comportamento. Ma perché si arriva a privilegiare la via del disordine? Vediamo. L'ordine e il disordine non sono concetti assoluti. Pregi e difetti si trovano in entrambi. Tutti e due, se portati all'eccesso, creano notevoli problemi e, a volte, denotano tratti psicopatologici. Ma nella grande terra che si trova tra gli estremi c'è spazio per tutti» chiarisce il professor Francesco Rovetto, docente di psicologia clinica all'Università di Parma. Ma che cosa significa essere disordinati? Che cosa c'è dietro questa scelta?
Non dover scegliere. «Essere disordinati - risponde il professor Rovetto - è un modo per non rinunciare, permette di mantenere immutata la situazione e ci illude di poter ottenere il maggior numero di vantaggi. Consente di non fare scelte definitive e dà l'impressione d'essere disponibili a tutti i compromessi».
Forma di protezione. «Il disordine è un modo per evitare di guardare in se stessi, col rischio di vedere i propri limiti; è infatti per evitare questi ultimi, e le loro conseguenze, che si lasciano le situazioni in sospeso, gli oggetti in giro per l'appartamento, le decisioni rinviate a data da destinarsi» dice Rovetto. «Fare ordine, implica dover scegliere, dover valorizzare alcune situazioni ed eliminare le altre, significa esporsi in prima persona e subirne le possibili conseguenze» continua lo psicologo. «Il disordinato evita di avere un progetto o tiene presente le situazioni a grandi linee, senza dovervi rigorosamente aderire. Diversamente, dovrebbe investire energie ed esporsi a tutte le possibili frustrazioni necessarie al raggiungimento del risultato». «Il disordine è una modalità di «evitamento», un meccanismo di difesa inconscio, con il quale si impara, fin da bambini, a sottrarsi alle scelte. L'evitamento assume una funzione di protezione della nostra personalità. Una difesa dal timore che dalla scelta fatta possa derivare una perdita» precisa l'esperto.
Sentirsi a casa propria. Ma non sono solo questi i «vantaggi» del disordine: «Chi fa questa «scelta di vita» - riprende Rovetto - nel suo disordine trova tutto o quasi tutto. La logica seguita è una logica creativa che gioca sulle associazioni, sui raggruppamenti, sulla memoria visiva: gli oggetti vengono ritrovati per la posizione in cui sono stati visti l'ultima volta o per la loro vicinanza ad altri oggetti che magari non c'entrano per niente. «Questo modo di «archiviare» le cose, fino ad un certo punto funziona. E, soprattutto, fa sentire il disordinato davvero a casa sua, in quanto ha la giustificata convinzione che nel suo caos solo lui potrà trovare quanto cerca. Il «nemico», che segue altre logiche, finirà con l'impantanarsi, troverà la scarpa destra ma non la sinistra, il caffè ma non lo zucchero (e chi l'ha detto che devono stare assieme?)».
Sentirsi indispensabili. «Nel proprio disordine - continua Rovetto - ci si sente a casa, in un posto, cioè, non pubblico come è il tavolo degli ordinati ossessivi, di facile «accesso». Il disordinato è «indispensabile» per ritrovare gli oggetti, non è intercambiabile come avviene nel caso degli ordinati, la cui logica è rigidamente legata a lettere, numeri, colori o date».
Modo per attirare l'attenzione. Ma non è finita qui. Il bambino disordinato obbliga la mamma a richiamarlo e, in questo modo, se ne assicura l'attenzione. Da adulto, quello stesso bambino, riutilizzerà questo schema, sperando di assicurarsi l'attenzione e il consenso. «La tendenza ad essere disordinati - aggiunge Rovetto - sembra prevalere nei figli maggiori che, attraverso questa modalità, recuperano una parte di attenzioni che i genitori manifestano verso il figlio minore. Ma questo schema non è rigoroso: ci sono figli unici molto disordinati. Questa vocazione nasce dal bisogno di ricevere attenzioni per compensare la rabbia che i figli unici covano segretamente, per esempio, per l'antagonismo con il padre, il rivale con il quale si contendono le attenzioni della madre. Essere disordinati - conclude lo psicologo - non è una malattia, ma una modalità di relazione con il mondo esterno. Se portata all'eccesso, però, può compromettere in modo irreversibile le nostre relazioni affettive, professionali e minare la nostra personalità adulta».
I riti riparatori. Anche il disordinato più «creativo», ad un certo punto, non ne può più del caos. «Poche cose sono più gradevoli per il disordinato, che rimettere a posto» spiega il professor Rovetto. «Il disordinato, in genere, anche se può suonare strano, ama riordinare. Si tratta di un rito purificatore che, a causa dell'accumulo del disordine, richiede ore e ore. Un rito che viene spesso officiato con sottofondo musicale e strettamente da soli» precisa l' esperto. «Nel riordinare il disordinato ritrova oggetti che aveva perso di vista da tempo, cose che non ricordava più di avere, piccoli tesori che erano andati ad infrattarsi sotto il decimo strato di carte. Il ritrovamento è gioioso, ci si sente ricchi. Gioie assolutamente sconosciute a quegli «ossessivi» degli ordinati. Il disordinato, ama dunque mettere in ordine, ma buttare le cose è sempre fonte di continui conflitti».
Gli ordinati. Personalità rigide e severe. Anche l'ordinato, come il disordinato sia pure per tutt'altre ragioni, ha le sue gioie: gioie moderate, ordinate, appunto, ma pur sempre piccoli trionfi. «Per esempio, di solito giudica male i disordinati e si sente superiore. Il suo trionfo avviene quando riesce a mettere le mani nel disordine del coniuge, del collega di lavoro e butta, impila, disinfetta, classifica, raccoglie e riordina tutto quanto» ricorda Rovetto. E aggiunge: «Io penso che l'ordinato intuisca l'angoscia in cui la sua operazione di risistemazione metterà il partner disordinato, ma pensando che l'ordine sia un bene ed il disordine il male, procede nella sua crociata e pretende perfino ringraziamenti dal suo beneficato. Certo l'ordinato, si compiace della sua scrivania luccicante e sgombra, del suo garage in cui le viti sono tutte raggruppate per lunghezza. Al limite estremo, l'ordinato manifesta tratti ossessivi di personalità caratterizzati da estrema lentezza, permalosità, tendenza ad esprimere giudizi assai severi, incapacità di comprendere scherzi, metafore. Estrema difficoltà di amare e di lasciarsi andare. Evitare gli estremi di ordine e disordine è saggio. Accettare i mille modi in cui si può esprimere la logica umana vedendone i pregi, e non solo i difetti, è un ottimo modo per impostare una serena convivenza» conclude Rovetto.
L'eccesso. Una vita alla deriva. La vocazione al disordine non si ferma agli oggetti disseminati in casa o in ufficio, può estendersi alla mancanza di cura verso al propria persona, portando ad una scarsa igiene personale o a disordini alimentari, con conseguenze facilmente prevedibili e, talvolta, può diventar disordine nella vita sessuale, dove trovano occasione per emergere altri problemi inconsci. La conseguenza estrema di questo atteggiamento, che in definitiva è rinunciatario, è l'abdicare alla propria identità, con la prospettiva di vivere alla deriva, dormire dove capita e sperare nella generosità degli altri, che ancora una volta, simbolicamente diventano la mamma buona e premurosa che si prende cura di noi in uno scenario «adulto», ma pur sempre desolante. «Se il disordine diviene uno stile di vita - conferma Rovetto - se peggiora sempre più, può essere il sintomo di disturbo schizoide di personalità. Una condizione rara, ma tipica della persona che vive sotto i ponti o in tane urbane, incapace di comunicare, incapace di condividere i propri spazi ed esprimere la propria logica. Altre condizioni di devastante disordine si ritrovano in pazienti schizofrenici o in altri gravissimi disturbi di personalità» conclude il professor Rovetto. (Angelo De Micheli)