Il buio che ci illumina!

Dal Corriere dei Ciechi Numero 10 del 2011

L'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti porta il "Ristorante al buio" e la scultura del "Cristo rivelato" al Meeting CL di Rimini
La coppa di maiale all'esterno è ruvida e leggermente rigida, mentre ha un cuore morbido e unto. Il prosciutto cotto è friabile e spesso frastagliato verso
i bordi. Il Grana padano è irregolare e granuloso, poroso e compatto. A mano a mano che il vino viene versato e riempie il bicchiere, si sente un gorgoglio
sempre più acuto e strozzato. Particolari che solitamente non si notano, trovandosi davanti a un bel vassoio di salumi o versandosi un buon bicchiere di
vino, presi dalla foga della fame e non avendo bisogno di altro se non della vista per riconoscere che cosa si sta mangiando. Tutti particolari che rendono
però un normalissimo pasto un'esperienza unica, valorizzando e aggiungendo note gustose e pressoché sconosciute al sapore dei cibi. Ed è proprio per questo
che si esce così soddisfatti dal "Ristorante al buio": le pietanze sono più buone che in qualsiasi altra trattoria, perché invece che mangiarle solo con
gli occhi, le si gusta con cinque sensi.
Per questo incredibile percorso sensoriale bisogna ringraziare l'Istituto dei Ciechi di Milano che, dopo il successo di "Dialogo nel buio", ha avuto un'altra
buonissima idea inaugurando "Il gusto alle stelle": un viaggio nella totale oscurità dove poter assaggiare prelibatezze regionali accompagnate da esperte
guide non vedenti. Alla XXXII edizione del Meeting di Rimini, che si è svolto dal 21 al 27 agosto, è stata una delle novità più apprezzate dalle centinaia
di persone che lo hanno provato.
Nell'anticamera del ristorante, quando ancora c'è un po' di luce a rassicurare i commensali, si viene accolti da un non vedente (Michele, in questo caso),
che ha il compito di guidare i clienti tra i tavoli, accompagnarli a quello giusto, farli accomodare, servire da mangiare e cercare di impedire che rompano
qualunque cosa. Sì, perché al "Ristorante al buio" non sono i ciechi a dover fare attenzione ma tutti quelli che sono abituati a lasciarsi guidare solo
dagli occhi. Così non rimane che aggrapparsi alla mano forte di Michele e seguire la sua voce, che si aggira tra i tavoli con una disinvoltura ammirabile.
"Eccoci arrivati" dice dopo una serpentina nella più totale oscurità. "Si sieda pure nell'angolo". Ed è questo il primo momento in cui ci si ritrova a
tastare il tavolo, nella speranza di agguantare il vertice e quando lo si trova non si è mai stati così felici di riconoscere quanto è pungente uno spigolo.
In poco tempo si trova anche la sedia, di legno, comoda e ci si può sedere.
Nel "Ristorante al buio", come quando si va in un paese straniero senza conoscerne la lingua, è necessario affidarsi al cameriere, cieco, l'unico davvero
in grado di fare da guida durante il pasto. Come prima cosa vengono disposti sul tavolo un vassoio tondo e un bicchiere con una caraffa. Una delle scoperte
più piacevoli è accorgersi che si può riconoscere il vino a partire dall'udito. Fermo o mosso? Non c'è bisogno di portare il bicchiere alle labbra per
saperlo, né è necessario vedere le bollicine che affiorano perché basta porgere l'orecchio. Quando si sente, dopo aver ascoltato l'inconfondibile suono
di un bicchiere che si riempie, il vino che sfrigola, si capisce che anche ad avere la vista non se ne avrebbe alcun bisogno: è senza ombra di dubbio frizzante.
Ma l'udito non basta, perché il cameriere incalza con le domande: "È un vino italiano, va bene, ma bianco o rosso? Da quale regione proviene? Gradazione
alta o bassa?". Tutte domande a cui di solito si risponde guardando l'etichetta, fronte e retro, e che invece questa volta non può aiutare. Sotto con la
degustazione allora, che permette di scoprire che un Lambrusco emiliano, abbastanza leggero, è inconfondibile e che le papille gustative possono rivelare
molto più di quanto non si penserebbe.
"Assaggiamo quello che c'è a ore dodici" consiglia Michele, indicando dove mettere le mani nel vassoio. Si inforca così un salume e lo si tasta in lungo
e in largo per capire che cosa si sta per mangiare. Questo è un altro pregio del "Ristorante al buio" presente al Meeting: si è così tanto abituati a usare
uno solo dei cinque sensi, la vista, che quando si iniziano a sperimentare gli altri quattro si torna come bambini, ogni cosa assume un sapore di novità
e ci si ritrova a toccare tutto con le mani per capire che cosa sia, senza vergogna e senza correre il rischio che qualcuno osservi con disappunto.
A ore 12 c'è la coppa, a ore 15 il prosciutto crudo, a ore 18 il cotto e a ore 21 il salame. Di tutti e quattro si possono gustare le diverse caratteristiche,
che già il tatto permette di analizzare. Ma se la consistenza non basta per distinguere una fetta di mortadella da una di cotto, è l'olfatto a soccorrere
il cliente nel discernimento dei cibi. E quando neanche l'odore aiuta a indovinare, c'è il gusto che, da ultimo, spazza via ogni dubbio. E così, passando
dal pane artigianale al Negroni, dal Grana padano al Crudo di Parma, si arriva al caffè e al dolce. Prima di terminare il pasto, Michele consiglia di pulirsi
le mani con una salvietta aromatizzata e per la prima volta, quasi in automatico, si dà retta, invece che alle scritte, al profumo che si sprigiona dall'involucro
di cellulosa per riconoscere il frutto che presta il suo odore alla salvietta. A differenza di qualunque altro ristorante, il momento migliore arriva però
all'uscita perché, soddisfatti per la quantità e la qualità del pasto, ci si accorge anche di aver partecipato a un vero e proprio corso sensoriale: c'è
molto di più nel mondo di quello che la vista può raccontare.

E al Meeting la sensazione è subito confermata dall'altra novità portata quest'anno dall'Istituto dei Ciechi di Milano a Rimini: il "Cristo rivelato", capolavoro
realizzato dallo scultore non vedente Felice Tagliaferri, presente in Fiera, che guidava i visitatori a toccare e riconoscere le forme della scultura attraverso
il tatto. Copia quasi identica del "Cristo velato", che si trova a Napoli, l'opera di Tagliaferri, come spiega lo stesso autore, è stata realizzata attraverso
una conoscenza mediata e surrogata da descrizioni orali o da rilievi grafici. Informazioni necessarie, visto che alla Cappella Sansevero a Napoli gli hanno
impedito di toccare, e quindi di "vedere", la scultura originale.
"Voglio dimostrare che la scultura non si deteriora anche se la toccate con le mani" dice Felice ai visitatori del Meeting che si assiepano intorno a lui.
"Nessuno di voi ha un pavimento di marmo? Ci camminate sopra da sempre, si è mai rovinato?". L'opera di Tagliaferri verrà benedetta dal Papa, in visita
ad Ancona in occasione del XXV Congresso eucaristico nazionale. Non c'è descrizione migliore dell'opera di quella che ne ha dato Aldo Grassini, fondatore
non vedente del Museo Omero: "Il "Cristo" del Tagliaferri è un corpo vigoroso che non si abbandona, quasi volesse resistere alla morte. Qui c'è tutta la
carnalità della scultura, l'uomo emerge prepotentemente e la morte ci presenta la sua tragica figura. Un Cristo sanguigno che lotta per la vita e dice
agli uomini che la via della redenzione non può evitare l'amaro calice e il sentiero del dolore. In quel corpo non completamente abbandonato, in quella
muscolatura poderosa sembra imprigionata un'energia che aspetta solo di poter prorompere. E in questo c'è tutto Tagliaferri, il suo attaccamento alla vita,
la sua forza esplosiva, il suo ottimismo della volontà".
La scultura è bellissima, la fattura è mirabile, la gente passa e rimane a bocca aperta, qualcuno si lascia sfuggire un "impossibile". Le uniche persone
a credere ai propri occhi sono quelle uscite dal "Ristorante al buio". Perché basta poco per riscoprire il valore e le potenzialità dei quattro sensi che
tutti hanno in dotazione assieme alla vista. È sufficiente un pranzo o una cena. Ma solo se un cieco ti apre gli occhi.

Di Francesco Leone Grotti.