Toccare per credere, l'importanza del tatto nelle conferme!

Da Internazionale:

Di Ophelia Deroy.

Aeon (Australia) - Perché dobbiamo toccare le chiavi per essere sicuri di averle nella borsa?
Il tatto ci dà davvero il senso della realtà delle cose? Le domande della
filosofa della mente Ophelia Deroy Contrariamente al detto "vedere per
credere", è il tatto che ci assicura il controllo e la conoscenza della
realtà. La vita quotidiana dimostra che è il senso deputato alla verifica
dei fatti. I commercianti lo sanno bene: se un cliente esita ad acquistare
un prodotto, è molto probabile che toccandolo si convinca a comprarlo.
Capita a tutti di tastare il portafoglio nella borsa anche se ce l'abbiamo
appena messo. Malgrado i cartelli che invitano a non toccare le opere
d'arte, i sorveglianti dei musei devono stare allerta per impedire ai
visitatori di carezzare statue e tele. Ma se la vista rivela già tutto
quello che dobbiamo sapere, cosa aggiunge il tatto?
La filosofia sostiene da sempre che è più obiettivo degli altri sensi. Per
dimostrare l'assurdità della teoria del vescovo Berkeley, secondo cui il
mondo materiale non esisteva, Samuel Johnson sferrò un calcio a un masso e
affermò trionfante: "Ecco come la confuto". La resistenza opposta al tatto
dagli oggetti solidi rivela l'esistenza di cose indipendenti da noi e dalla
nostra volontà.
Quindi il tatto è davvero il "senso della realtà"? Tutt'altro. In genere non
offre una conoscenza maggiore o più immediata della realtà rispetto agli
altri sensi. L'eventualità che fornisca informazioni più accurate dipende
dalle circostanze: a volte funziona meglio il tatto, altre volte la vista.
La sensazione del contatto "diretto" con la realtà suscitata dal tatto può
anche risultare fuor-viante: l'elaborazione tattile è assai mediata e poggia
su aspettative e deduzioni inconsce. Le nostre convinzioni ed esperienze
sensoriali possono quindi arrivare a conclusioni ingannevoli. Come la vista,
anche il tatto è soggetto a illusioni, solo che non si sente parlare spesso
di illusioni tattili.
Per fare un esempio, molti sono sorpresi dal fatto che in alcuni smartphone
il tasto in basso non si muove quando viene premuto: l'impressione che lo
faccia è data dalla vibrazione, che induce il cervello a dedurre che
qualcosa è stato premuto. Spegnete, ripetete il gesto e noterete che la
superficie non si sposta.
Se nel complesso il tatto non presenta vantaggi rispetto alla vista, perché
ci affidiamo così tanto a questo senso? Se non fornisce una rappresentazione
più diretta o oggettiva del mondo, come si spiega la diffusa sensazione che
lo faccia? Un aspetto importante è che, dal punto di vista psicologico, il
tatto è più rassicurante della vista. Ci dà delle conferme. Pur vedendo le
chiavi nella borsa, dopo averle toccate siamo più sicuri che ci siano.
Senso di sicurezza
Nel trattato del 1633 intitolato II mondo, Cartesio osserva la maggiore
difficoltà di confutare le prove ricavate dal tatto. Scrive infatti: "Il
tatto è ritenuto il meno ingannevole, anzi il più certo, di tutti i nostri
sensi". Per comprendere i vantaggi del tatto vale la pena di ricordare il
racconto sull'incredulità di san Tommaso, che per convincersi di avere
davanti Gesù volle toccare le sue ferite. L'episodio c'insegna una cosa
fondamentale: toccare "per essere sicuri" diventa particolarmente importante
quando gli altri sensi o convinzioni generano una situazione d'incertezza.
Chi soffre di disturbi ossessivo-compulsivi tocca di continuo l'oggetto
della propria ansia anche quando lo vede. Richiude il rubinetto pur vedendo
o sentendo che l'acqua non esce.
Perché il tatto suscita maggiore certezza? Dal momento che le certezze
poggiano sull'esattezza, ci si dovrebbe fidare più del tatto che della vista
solo quando il primo fornisce informazioni più accurate della seconda. Non è
questo, però, che suggerisce san Tommaso né chi soffre di disturbi
ossessivo-compulsivi. È possibile che i motivi per cui il tatto rassicura e
tranquillizza siano riconducibili a quella che, in linea di massima, è la
percezione personale del senso di sicurezza.
Forse ci fidiamo più del tatto perché toccare un oggetto, piuttosto che
guardarlo, ci fa sentire più attivi e padroni di noi. Equivale a reperire e
verificare la prova attivamente piuttosto che recepirla passivamente. Il
nostro ruolo attivo certifica l'affidabilità dell'oggetto. Potrebbe esserci
anche qualcosa di più elementare ed emotivo, magari da ricollegare
all'esperienza dei neonati. È come se ci aggrappassimo al mondo invece di
provare a conoscerlo. Quando tocchiamo gli oggetti visibili che ci
circondano, convinti di cercare informazioni migliori, forse stiamo solo
manifestando il nostro bisogno primario di essere rassicurati!